Festa di Cristo Re

La Chiesa conclude l'anno liturgico con una grande festa a Gesù, chiamandolo con il titolo di Re. Ogni Domenica, partecipando a Messa festeggiamo Gesù come vincitore della morte. Durante questo anno, Cristo è sempre stato al centro della nostra riflessione è in Lui che ha preso e prende ancora oggi senso il nostro esistere, il nostro essere cristiano. Questo Gesù di cui in questo anno abbiamo ripreso tutte le tappe della sua vita, oggi ci viene ricordato che Lui è il re dell’Universo.

Ma di quale “regalità” stiamo parlando?

“Io ti ho preso dal pascolo, mentre seguivi il gregge, perché tu fossi capo del mio popolo Israele.” Ecco il re del quale ci parla la prima lettura, niente di straordinario, uno come noi, un figlio di uomo che confida nella presenza di Dio. Dio per insegnarci a regnare si fa piccolo.

Nella seconda lettura san Paolo ci ricorda: “E’ lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel Regno del suo amore”. Questo re che ci ama cosi come siamo senza aspettarsi da noi la perfezione, ci ama e ci libera; é questo il vero amore, un amore capace di cambiarti, da cattivo a buono, da peccatore a perdonato.

Nel Vangelo di Giovanni Gesù dice: "Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce". Qui troviamo la differenza di fondo tra il pensare di questo mondo e il pensare proprio di Dio; quello che Gesù annunciava, infatti era tutt'altro che un regime istituzionale che si sarebbe sostituito a quello di Cesare; egli afferma se stesso come re, si, ma di un regno che non è di questo mondo ma che è dato dalla pace e dalla giustizia universale apportata dalla presenza di Dio nelle opere e nelle parole del Cristo. Il Regno di Dio si riscontra infatti non nel difesa politica ma dalle opere di misericordia attuate verso i deboli, gli ultimi e gli esclusi.

Mi pare bello proprio questo: il Regno di Dio è nel mondo e quello che noi siamo chiamati a fare è proprio cercare di cogliere i segni di questa presenza che resta una presenza "discreta", che mai si impone con la forza ma domanda solo di essere accolta. Un primo tratto allora che emerge dal vangelo è proprio questo: una regalità diversa. Ancora una volta la parola di Dio sottolinea in modo forte quale è la differenza cristiana. In questa festa dobbiamo celebrare Gesù non a partire da un titolo (quello di Re appunto), ma dalla confessione di una regalità che non porta armi, una regalità che non arruola eserciti, una regalità che non manda a morte nessuno ma muore per gli altri, una regalità che ha detto di no al potere, una regalità che ha sempre servito e mai comandato. Ecco che il servizio e la povertà allora diventano segni della presenza del Regno di Dio nel mondo.

Non credo che Gesù, dicendo che il suo regno non è questo mondo, volesse disinteressarsi della realtà umana e "tirarsi fuori" dalle questioni, dai drammi e dai problemi umani nel mondo. Al contrario ha voluto che ci fosse la verità del suo regno proprio in ogni realtà umana.

Gesù vuole che ci sia quel regno che lui ha inaugurato con l'incarnazione, con la predicazione e l'attenzione continua ai poveri e agli ultimi, e infine con la sua totale donazione sulla croce.

E' tutto questo il regno di Gesù. E' un regno che continua nell'azione concreta e quotidiana di coloro che portano per il Battesimo il suo nome, cioè noi cristiani. Noi cristiani, in qualsiasi regno umano ci troviamo, lavoriamo per il regno di Gesù, che in altri termini è "il mondo che Gesù vuole".

Pilato e i nemici di Cristo, pensavano che mettendo Cristo sulla croce avrebbero abbattuto alla radice il nuovo regno di questo Gesù. Hanno fatto proprio il contrario. La croce è stato il momento umano di Gesù di maggior "potenza" del suo regno. E la resurrezione ha mostrato e reso eterno questo regno di Cristo.

Ogni volta che guardiamo alla croce di Gesù noi vediamo un trono sul quale esercita il potere il nostro re, Gesù. E il Signore Gesù esercita un potere che è fatto di carità, accoglienza, perdono … e non di violenza.

Se Cristo esercita la sua signoria su ogni uomo, non possiamo far finta di non renderci conto che il suo ripetuto invito ad ascoltare la sua voce sia rivolto a ciascuno di noi.

Di fronte alle esigenze del suo amore, c’è il rischio pure noi di «lavarci le mani», come fece Pilato, confinandolo in alcuni momenti di preghiera ben delimitati nel tempo. La fede cristiana coinvolge tutta la vita. A questo punto, non possiamo sfuggire almeno ad una domanda d’esame di coscienza: «Sto dando davvero al Signore la possibilità di decidere della mia esistenza, oppure dichiaro che egli è il Signore della mia vita soltanto quando vengo in chiesa?». Forse, dovremo confessare che non di rado, pur proclamando durante le celebrazioni liturgiche che Cristo è il nostro unico Signore, viviamo di fatto come se fossimo noi i padroni della nostra persona, della nostra famiglia, del nostro tempo, delle nostre cose …

Imploriamo, allora, dal nostro re crocifisso e risorto la «piena conoscenza della sua volontà, con ogni sapienza e intelligenza spirituale», così da amarlo e servirlo «con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze».

Signore Gesù, entrando in comunione con noi, rinvigorisci la nostra volontà, illumina la nostra mente e i nostri sensi e attraici a te mediante il tuo Spirito. Che ogni nostro atto, pensiero e sentimento prenda inizio da te, trovi la sua verità nel tuo ancore e giunga al suo compimento nel tuo regno.