Sono uno sventurato!!! Rm 7,24

Da pochi giorni sono terminate le festività natalizie, quante belle parole si sono dette (di pace, di serenità, di amore ecc.) ma mentre le udivo, mi chiedevo: “Non è che il Natale sta diventando una parentesi surreale di una vita che ha ben altri registri come ad esempio quelli della crisi, della disoccupazione, della violenza, delle guerre, del terrorismo… ecc.?”. A conferma di questo, una mattina la mia radiosveglia, alle 5.58 precise, mi sveglia con questo messaggio pubblicitario che diceva più o meno così: “È Natale: dimentichiamo per un giorno tutte le sofferenze e i problemi!”. Son ben cosciente che questo fa parte di un parlare comune, in certe occasioni, ma io ho avuto un moto di stizza. “No! – mi son detto – questa festa che stiamo celebrando non è la parentesi della vita, non è un giorno per dimenticare, ma per interpretare la vita!”. Gesù si è fatto uomo non per far dimenticare i problemi, ma per spiegare la vita e darle senso. È questo il contenuto della fede: capire la vita così com’è e non come promessa illusoria di quello che non c’è e che noi invece desideriamo. Credere in Gesù Cristo è la via per poter giungere in modo definitivo alla salvezza. Il senso del Natale non è quello di dimenticare i problemi, come se quasi sparissero per un giorno, ma affrontarli convinti che ne siamo capaci.

Ma cosa è la “salvezza”? Che significa essere “salvati” e in che senso Dio, facendosi uomo in Gesù Cristo, ci ha salvati? Quanto mi piacerebbe chiedere a tutti coloro che stanno leggendo queste mia parole, se si sentono in pericolo a tal punto da aver bisogno di “essere salvati”. Da chi e da che cosa? La religione rischia di essere un rito vuoto che celebra una salvezza che nessuno capisce e della quale nessuno sente il bisogno. Nel migliore dei casi ci si aspetta dalla religione una salvezza “fisica” che risolva problemi concreti quali la malattia, la disoccupazione, la povertà… Dio è utile per tappare i buchi!

Per cercare una risposta a queste mie domande, mi sono ricordato di un passaggio molto interessante di San Paolo che così scrive nella lettera ai Romani al capitolo 7: “19Ciò che faccio, io non lo capisco: infatti io non compio il bene che voglio, ma faccio il male che non voglio. 20 Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io ad agire ma il peccato che in me. 21Io scopro allora questa contraddizione: ogni volta che voglio fare il bene, trovo in me soltanto la capacità di fare il male. 24Sono uno sventurato!! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? 25Rendo grazie a Dio che mi libera per mezzo di Gesù, nostro Signore! Io con la mente servo la legge di Dio, con la carne invece la legge del peccato”.

 

È qui la risposta al nostro dubbio: il male, non solo quello fisico, rovina la nostra vita e i nostri rapporti per cui diventiamo egoisti, indifferenti, prepotenti, gelosi, avidi, faziosi, litigiosi … e tutto questo rende la nostra esistenza difficile. Il male c’è, e … sembra invincibile. Nel testo appena citato S. Paolo ci dice chiaramente: “Sono uno sventurato!! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?” Non c’è bisogno di grande intuito, il male è sotto i nostri occhi. Come difendersi? Trovando magari “capri espiatori”? È istintivo infatti accusare gli altri: quando vediamo qualcuno che compie del male, ci fa sentire un po’ giusti perché pensiamo che, almeno, quelle cose noi non le facciamo e ci consoliamo pensando che i cattivi sono gli altri.

 

E noi? San Paolo parla di un male “non straordinario”, ma purtroppo “ordinario” quello che insidia alla nostra vita, che distrugge le nostre difese, che ci porta a continui compromessi con la verità, l’onestà, la giustizia …

 

Ma è possibile vincere il male che c’è in me? È a questo punto che si capisce il Natale di Gesù, l’incarnazione di Dio come risposta a questo problema: ecco cos’è la salvezza. Diventare capaci di sconfiggere il male. San Paolo ci dice che da soli siamo incapaci. Dio si è fatto uomo per dirci che è possibile … con il suo aiuto; senza di lui, invece, non possiamo far nulla (Gv 15,5). Credere è essere convinti di questo! È cercarlo perché ho bisogno di lui per liberarmi dal male.

 

È vero: il male è ancora presente e ferisce terribilmente il mondo e le persone, ma Dio facendosi uno di noi ci fa capire che è possibile la vittoria. Dipende dalla fiducia che abbiamo in lui. A Natale non ha fatto una semplice apparizione per poi sparire; è venuto per restare ed accompagnarci: ecco perché ha inventato l’Eucarestia, per dirci che lui è sempre con noi a disposizione. Dipende da noi se vogliamo farci accompagnare in questa lotta o ci pensiamo onnipotenti capaci di fare da soli. 

 

Credere è appunto prendere coscienza della nostra fragilità e della Sua forza, è essere convinti che in questa lotta con la Sua presenza ed il Suo aiuto, vincerò … vinceremo. Il Natale allora non è un giorno solo di bene isolato in mezzo ad un mare di guai, ma è la bella notizia che non siamo sventurati perché, in sua compagnia, siamo più forti del male.

 

Combattere il male, la paura è l’impegno del cristiano, soprattutto all’inizio dell’anno che è caratterizzato da una corale preghiera “per la pace”. 

 

Buon anno, dunque. Un anno per combattere il male a favore della pace, contro la paura che incatena il cuore e ci ruba il sorriso.

 

 

don Claudio