Mons. Gabriele Caccia saluta tutta la COPS

Per una settimana intera ho avuto la gioia e la fortuna di vivere a fianco di Sua Ecc.za Mons. Gabriele Caccia, Nunzio Apostolico in Libano. Di ritorno trasmetto i suoi saluti più cordiali non solo ai Cavariesi, sua parrocchia di origine, ma a tutta la comunità pastorale. Con i suoi saluti mi piace stendere a caldo e velocemente qualche riflessione che spero nelle prossime settimane di poterle riprenderle e magari condividerle con chi ne fosse interessato.

 

     Andare in Libano è un viaggio "insolito", spesso sottovalutato. Solo sentire il nome di questo paese incute timore e si associa a delle immagini sbagliate legate a guerre e terrorismo. Non c’è guerra, non c’è terrorismo, anzi il Libano era e resta una grande lezione di unità, di riconciliazione e di pace. Sarebbe bello imparare dall'Oriente certi valori da riscoprire in Occidente.

 

Il paese dei cedri è un luogo corto e stretto. Grande come metà Lombardia, conta quattro milioni e mezzo di abitanti. Qui il cristiano può suonare le campane finché vuole e il muezzin può richiamare alla preghiera, senza che l’uno abbia qualcosa da dire dell’altro. Il Libano è l’unico dei 22 Paesi arabi che non è totalmente musulmano. Vi convivono diciotto confessioni religiose, di cui 12 musulmane e 6 cristiane, i cui fedeli sono in condizione di parità; nel parlamento siedono 64 cristiani e 64 musulmani. Il presidente della Repubblica è cristiano, il primo ministro è musulmano sunnita, il presidente del parlamento è musulmano sciita.

 

     Il Libano è una sorta di mosaico vivente di culture, fedi, tradizioni che ogni giorno si intersecano nella vita del Paese. È un laboratorio vivente che indica la possibilità di un’esperienza di convivenza sempre possibile, pur nelle fatiche, anche tra le diverse religioni. Inoltre, è una nazione coinvolta, in modo estremamente significativo, dalla questione dei profughi e, poi, è un luogo che ci ricorda e parla eloquentemente una cristianità che ha attraversato i secoli, mantenendo una freschezza esemplare anche in contesti di martirio e di difficoltà. Il Libano probabilmente contiene la formula segreta del mondo del futuro prossimo.

 

     Interessantissima è stata una tavola rotonda che ho partecipato con Mons. Gabriele con la presenza di una quindicina di religioni che insieme riflettevano su come legare la vita interiore con la vita esteriore. Incontro concluso con il pasto immediatamente successivo al tramonto in questo periodo di ramadan chiamato Iftar.

 

     Ho visitato ad un’università cristiana con 4000 allievi: 50 per cento cristiani e 50 per cento musulmani. Ho visto una perfetta convivenza; partecipano alle feste reciprocamente. Dove si crea cultura, dove si formano persone corrette, lì ci sono i presupposti per una pace duratura. Dove c’è una scuola, si vedono i risultati. Se si vuole aiutare un popolo in difficoltà, lo si deve fare nel rispetto delle persone che vivono in quel posto, della loro identità, delle loro tradizioni. Se, invece, voglio svuotare o sostituire la cultura locale con la mia, rischio di suscitare una reazione di intolleranza. L’identità del popolo libanese emerge da questo ecumenismo. Cristiani maroniti, cristiani cattolici, drusi, musulmani sciiti, sunniti hanno compreso che, se rimangono uniti, nonostante le diversità - che ci sono -, rimangono libanesi. Questo è proprio bello!

 

     Beirut è il posto più proteso del vicino Oriente verso il vicino Occidente. Tutto Mediterraneo a ovest, la Siria dietro la valle della Bekaa e i monti dell’Anti Libano, a sud Israele e i Territori Palestinesi. Il viaggio a Baalbek, a nord, un nido di romanità dentro la valle della Bekaa che a sud, in fondo, è chiusa dalla mole del Monte Ermon ancora coperto di neve. La visita al sito d’età imperiale lascia senza fiato per le sue dimensioni fuori misura e la vita che ci sta intorno. Altro tesoro è Byblos, a nord della capitale, sulla costa. La leggenda garantisce che è la città più antica del mondo per la sua continuità abitativa, e che ha ispirato il nome che oggi diamo al libro, ai libri. Dalle case di 7mila anni fa fino alla rocca ottomana e al museo interno che rimanda a quello ricchissimo di Beirut. Città che ha ingerito ogni cultura. Qui non ci si può stupire se un cristiano parla in arabo, se un prete ha cognome arabo.

 

     In Libano ho conosciuto figure di grandi santi, tra questi il monaco san Makhluf Charbel, che fanno capire come la fede in questo piccolo paese sappia radicarsi nel complesso contesto del rapporto tra musulmani e cristiani. Ovunque il Vangelo si può radicare e ovunque figure di santità possono essere ponte tra la fede e il territorio, pur nelle diversità delle società.

 

     Con il collaboratore del Nunzio sono stato invitato a pranzo dal Patriarca di tutte le Chiese di Oriente, il Card. Béchara Pierre Raï, al termine di una lunga Messa Maronita dedicata alle famiglie. Il Patriarca sottolineava che, in un momento in cui i valori vacillano, bisogna ripartire sempre dalla famiglia. L’esempio dei genitori è la prima scuola per i figli. La prima cosa che devono insegnare loro è il rispetto per l’altro. Quando c’è il rispetto, la vita si svolge serenamente. Tutti a priori sono capaci di dire: “Io amo Dio”. Ma in che cosa si concretizza questo amore? Nell’amore per l’altro. E di questo il Libano mi ha dato una grande testimonianza.

 

     Mons. Gabriele si augura che “il mondo diventi sempre più simile al Libano”. L’esperienza di questo paese può mostrare al Medio Oriente e al mondo intero che la libertà religiosa - e, in senso più ampio, la dimensione religiosa -, non costituiscono un freno per la società, ma uno stimolo continuo; non è un pericolo per la laicità, ma una ricchezza da condividere.

 

    Alla luce di tutto questo il Libano resta una realtà da conoscere, un modello da considerare anche come esempio cui ispirarsi e da difendere tanto necessario per costruire una nuova umanità.

 

 

 

don Claudio