VII Domenica dopo il Martirio di san Giovanni Battista

Tre sono i richiami ho individuato nella parola di Dio che ci viene offerta in questa domenica. Il primo riguarda il cuore. Quando commettiamo un peccato, dentro di noi scatta la tentazione costante di scaricare sugli altri la colpa. Se, per esempio, mi arrabbio, normalmente penso che non è proprio colpa mia, ma piuttosto del comportamento di mia moglie, di mio marito, del mio vicino, del mio capo.

. Qualunque peccato ci possa venire in mente, molto di frequente nel nostro cuore nasce l’idea che è colpa di qualcun altro. È chiaro che, per alcuni aspetti, è pur vero, ma più normalmente è una scusa. Perché ci fa comodo alleggerire la nostra responsabilità. E’ un grosso rischio per la fede perché poco alla volta finisce che tutto sfugge alla nostra responsabilità e il pensiero, che entra nella nostra testa, nel nostro cuore, nella nostra vita, è che dovrebbe prima cambiare quello che sta fuori.

Questa è una tentazione! Perché ad un certo punto ti guardi attorno e sembra che non cambi niente. E in questa situazione che si fa? I brani della Scrittura che oggi ci vengono donati, ci chiedono di pensare a partire dall’azione di Dio, non dalla povertà umana. A partire dalla piccolezza che Dio usa per realizzare i suoi progetti. La parabola del lievito, del seme….

Quello che ci viene chiesto è di non misurare. Non stiamo a guardare se siamo tanti o siamo pochi, siamo forti o siamo deboli. Quello che dobbiamo guardare è se siamo disposti a lasciar fiorire qualcosa di nuovo dentro di te. Da questo si parte. Non c’è un altro punto di partenza. Se noi pensiamo di partire cambiando le cose fuori di noi, abbiamo già perso. Il punto dove si può fare qualcosa per cambiare è il nostro cuore. Quando si tenta di cambiare prima le strutture esterne e poi il cuore, si fallisce.

Il secondo livello del percorso, che le letture ci suggeriscono, consiste nel non lasciarsi prendere dallo sconforto quando guardiamo le cose che non vanno. Guardiamo il miracolo del grano, non la banalità della zizzania. Se ci mettiamo a notare tutte le negatività, ne troveremmo di certo. Sappiamo che c’è il male; non è una scoperta. La notizia è che c’è anche il bene. La prima lettura, ad un certo punto, diceva: “sta germogliando una cosa nuova, non ve ne accorgete?”. Quasi sempre dovremmo rispondere che non ce ne accorgiamo, perché continuiamo a guardare le cose che non stanno andando, che non funzionano, che bloccano il meccanismo. Diventiamo noi collaboratore di Dio - come dice Paolo di se stesso nella seconda lettura: “siamo collaboratori di Dio”.

C’è poi un terzo livello, sul quale siamo invitati ad orientare il nostro percorso. Il primo era quello personale: lascia crescere il bene nel tuo cuore. Il secondo era: guarda il bene che cresce introno a noi e incentivalo. Il terzo è il mondo, tutto ciò che sta fuori dalla Chiesa, dalla comunità cristiana. Quando noi diventiamo capaci di guardare secondo il cuore di Dio e di accorgerci del bene che sta crescendo, allora noi siamo per il mondo un seme. Noi siamo a servizio del mondo. Il nostro compito, come comunità cristiana, è essere nel mondo coloro che fanno germogliare qualcosa di nuovo; che dove c’è il deserto fanno crescere qualcosa di verde. In questi decenni è avanzata una «desertificazione» spirituale. Diceva il Papa giovedi scorso. Il vuoto che si è diffuso. Ma è proprio a partire dall’esperienza di questo deserto, da questo vuoto che possiamo nuovamente scoprire la gioia di credere. Nel deserto c’è bisogno soprattutto di persone di fede che, con la loro stessa vita, indicano la via e tengono desta la speranza. Oggi più che mai evangelizzare vuol dire testimoniare una vita nuova, trasformata da Dio, e così indicare la strada. Ecco allora come possiamo raffigurare questo Anno della fede: un pellegrinaggio nei deserti del mondo contemporaneo ed essere seme di vita.