II domenica dopo l’Epifania “C”

Come Gesù si era manifestato ai magi venuti dall’Oriente e a Giovanni Battista al Giordano, così anche a Cana di Galilea volle manifestare la sua gloria, tanto che i suoi discepoli credettero in lui.

Ancora una epifania, uno svelamento di Gesù. Questa volta in un contesto di festa, una festa di nozze, durante un banchetto, dentro il segno del vino. Tutti simboli che nell’Antico Testamento esprimevano l’amore di Dio verso il suo popolo la sua volontà di costruire un’alleanza.

All’interno di questo brano evangelico troviamo al centro: Maria. Ed è su di lei che mi soffermo per la nostra riflessione.

Viene chiamata dall’evangelista "la madre di Gesù": viene sottolineata la sua attenzione a quanto sta accadendo, altri sono occupati a festeggiare. Lei, l’unica ad accorgersi che viene a mancare il vino a quel banchetto, l’unica preoccupata che la festa non si rovini, l’unica a tentare qualcosa, l’unica a farsi avanti. L’unica col suo desiderio a premere sul figlio perché ci sia anticipo dell’ora. Io non so se Maria abbia compreso, dubito, le parole del Figlio: "Donna, che vuoi da me. … non è ancora giunta la mia ora". Nel vangelo di Giovanni, l’ora e quella della croce. Comunque Maria induce Gesù a passare il confine, il confine dell’ora.

Anche la prima lettura di questa Messa ci presenta la figura un’altra donna: Ester. Ester è una ragazza ebrea, che vive in esilio, in uno dei centri più importanti dell’impero persiano. Ha avuto la fortuna di andare in sposa al re Assuero. Ma un consigliere, consigliere disonesto, del re usa ogni mezzo per convincere il re che la sicurezza del paese è messa in pericolo dalla presenza di quegli stranieri ebrei, che hanno altre leggi ed ecco l’editto di cacciare gli ebrei. Ester avverte lucidamente che ne va della sorte del suo popolo. E dopo aver pregato e digiunato si alza, va dal re, a sostenere la causa del suo popolo in terra straniera. Con tutte le sue arti, con tutta la sua passione.

Figure di donne, che non si danno pace, Maria per la gioia di quei due sposi, Ester per l’amore del suo popolo. Si mettono di mezzo.

E allora, vorrei raccogliere già qui, uno dei numerosi insegnamenti di questi racconti: metterci di mezzo.

Che grazia se la chiesa e dunque tutti noi ci sentissimo interpretati da queste figure. Da Ester, che resiste, a rivendicare il diritto di vivere per un popolo straniero in terra straniera. E da Maria che si mette di mezzo, preoccupata del vino del banchetto, dell’andamento della festa.

Per arrivare ad avere il vino, cioè la gioia, quella vera è necessario passare attraverso la parola di Maria: “Tutto quello che vi dirà, fatelo”. Come dire: Tutto quello che è scritto non è solo da ascoltare, è da fare. Tutto quello che vi dice fatelo, mettetelo in opera!

La vita spesso la si trascina stanca­mente, occorre qualcosa di nuovo: ecco il vino nuovo.

Il vino che viene a manca­re è esperienza quotidiana: viene a mancare quel non­ so-che che dà qualità alla vita, un non-so-che di e­nergia, di passione, di entusiasmo, di salute che dia sapore e calore alle cose.

Come uscirne?

«Qualunque cosa vi dica, fatela». Fate il suo Vangelo; rendetelo gesto e corpo; tutto il Vangelo, il consiglio amabile, il comando esi­gente, la consolazione, il rischio.

Riempiamo d’acqua le anfore. La nostra umanità offriamola a lui sarà Lui a tra­sformare questa povera ac­qua nel migliore dei vini. La povertà degli sposi di Cana non è stato un ostacolo, ma una op­portunità per il Signore. Dio viene anche per noi che non abbiamo meriti; viene come festa e come gioia, come vino buono.

“Fa’ così e la tua acqua diventi vino”, il tuo vuoto diventi pieno.

Ecco noi vogliamo chiedere in questa Eucaristia, la forza di tornare a guardare dentro il cuore di Dio. Ma ancor di più vogliamo chiedere la grazia di poter vivere ascoltando, osservando, mettendo in pratica tutto quello che Lui ci dirà, così come Maria ci ha chiesto.

Se avremo la forza di fare così, la gioia, quella vera, quella piena, sarà per noi.