Cosa cercate

Il tempo estivo oramai è terminato: il lavoro è ricominciato, la scuola dei nostri ragazzi presto riprenderà il suo ritmo, i soliti problemi si sono magari già riaffacciati. Anche la vita della nostra comunità pastorale riprende le sue abituali attività. Prima, però, di guardare avanti, permettetemi uno sguardo indietro. Mi sembra importante questo sguardo retrospettivo per due motivi: per ringraziare tutti coloro che hanno permesso la buona riuscita delle iniziative ed esperienze estive, ma anche per verificare quanto vissuto in questo tempo estivo in vista di sempre migliori proposte per l’avvenire.

Prima dell’inizio dell’estate abbiamo vissuto alcune feste patronali in tre dei nostri paesi e mi sembra di poter dire, nell’insieme, che abbiamo vissuto delle belle feste, a parte gli inconvenienti causati dal maltempo: momenti semplici e partecipati in alcune parrocchie, in altre un po’ meno sentite. In tutti i modi, al di là dei risultati, a tutti coloro che hanno pensato e organizzato i vari momenti delle feste, da quelli religiosi e quelli più popolari, va tutta la gratitudine più sincera.

. Di lavoro ce n’è proprio tanto e, purtroppo, chi ci mette l’anima sono sempre i soliti e in alcuni casi proprio pochi. Ho avuto l’impressione, mi direte se sbaglio, che stia venendo meno, in generale, il desiderio della propria festa. Mi spiego brutalmente: ho avuto l’impressione che, se la festa ci sia o non ci sia, per molti non cambi assolutamente nulla.  Ma perché tutto questo?  La ragione, secondo me, sta nel venir meno del senso di appartenenza ad una comunità cristiana. Cosa fare? Non penso sia sufficiente organizzare una festa con “effetti speciali”, se manca un sentirsi comunità durante tutto l’anno. È su questo che dobbiamo riflettere e impegnarci.

 

Quest’estate abbiamo poi vissuto con i ragazzi due esperienze significative: l’oratorio estivo e la vacanza in montagna. Il primo vissuto nei nostri quattro oratori dal 9 giugno all’8 luglio. È stata un’esperienza arricchente per tutti, ragazzi e animatori, certamente da riproporre anche negli anni prossimi magari con l’aggiunta di qualche giorno in più. Dal 9 luglio, poi, per otto giorni, le attività oratoriane sono continuate in montagna. Una grande comunità di oltre 120 persone della COPS (peccato che di S. Stefano solo quattro ragazzine ne hanno fatto esperienza). Sono riuscito pure io ad essere presente per tutto il periodo, potendo così vedere da vicino e apprezzare il lavoro e le tante energie spese per la realizzazione di questa iniziativa estiva, ma ho potuto anche constatare la scarsa risposta dei nostri ragazzi non abituati a vivere insieme. È vero, di forze ne abbiamo poche! I nostri animatori, pur mettendoci tanta buona volontà, sono troppo giovani e poco preparati.  Avremo occasione nelle prossime settimane di fare una verifica nelle opportune sedi, ma ringrazio già da ora chi vorrà farmi pervenire un suo contributo.

 

La scorsa estate è stata segnata anche dalla GMG a Cracovia. 6000 giovani della nostra diocesi di Milano hanno presenziato. Ho seguito, attraverso servizi fotografici su facebook, i giovani delle parrocchie limitrofi. Ma quanti giovani della COPS sono andati? Domanda più volte sentitomi rivolgere. Risposta: Nessuno!!! Solo tre ragazze, ma con altre parrocchie. Nei nostri oratori ci sono i giovani? E che giovani sono? Perché non ce sono?

 

Questo velato sguardo retrospettivo ci offre del materiale per guardare avanti e per concentrarsi sulle cose da fare, sulle proposte e attività dell’anno. Con il Consiglio Pastorale della Comunità Pastorale presteremo la necessaria attenzione perché non succeda come per le feste o per le vacanze, cioè fare delle cose solo perché vanno fatte, o solo perché ci aspettiamo che ci siano. Ma forse c’è una domanda che dobbiamo porci, noi tutti, che non ritengo retorica, ma molto seria: “Che cosa cerco io dalla parrocchia?”, “Che cosa mi aspetto che faccia?”.

 

Impiegare del tempo per interrogarsi e interrogare sulle attese, specialmente di chi — la dico con simpatia —  "non è dei nostri”, di chi sta sulla soglia della chiesa, di chi si affaccia alla comunità, non è perdere tempo, ma una prima forma di amore verso gli altri. D’altra parte Gesù stesso - e noi da Lui dobbiamo imparare - non ha iniziato il suo ministero pubblico invitando la gente a fare qualcosa o a stare ad ascoltarlo. No! Gesù inizia con una domanda: “Che cosa cercate?” (cf Gv 1,38), così come, dopo la sua risurrezione, si rivolge a Maria di Magdala con questa folgorante domanda: “Chi cerchi?”. (cf Gv 20,15). Il “fare” di Gesù sta entro queste due domande, perché il suo fare è risposta alla ricerca di amore e di verità nell’uomo.

 

Queste domande devono diventare le nostre domande, perché l’inevitabile fare di una parrocchia o di un oratorio, non sia la messa in pratica di un copione già scritto, ma il tentativo di rispondere alle esigenze più profonde di quanti vogliono farne parte. È scontato che queste esigenze debbano essere fatte conoscere.

 

Iniziamo dunque un nuovo anno pastorale preoccupati non tanto di fare cose, ma di conoscere e farci conoscere sempre più.

 

 

 

don Claudio