NELLE CASE HO TROVATO L’ATTESA

Dopo avere visitato casa per casa le oltre 780 famiglie della parrocchia di Oggiona, da qualche settimana, aiutato anche da don Angelo, sto girando quelle della parrocchia di Cavaria. È un impegno pastorale che mi piace molto, come già ho avuto modo di scriverlo.

 

Anche se non abbiamo ancora finito volevo già da ora ringraziare per le numerosissime porte aperte che ho trovato, quasi la totalità. A tutti chiedo scusa per la brevità della visita: proprio una toccata e fuga. Ma se qualcuno avesse piacere o bisogno di parlarmi con calma non ha che da farmelo sapere.

Oltre alla tipica domanda che mi viene rivolta: “Come va?”, ce n’è un’altra che ricorre spesso in queste visite: “Come va la nostra parrocchia?”. È posta con accenti e sfumature diversi: a volte l’accento è posto sul paese in sé, sull’ambiente; ma altre volte l’accento è posto sulle persone: “Come ci trova? Come ci vede? Come ci considera?”.

 

A questa domanda potrei dare tante risposte. Posso iniziare a dire quello che ho trovato nelle vostre famiglie: una attesa. Ho incontrato persone che attendono, certamente che attendono cose diverse, ma comunque che attendono. Così ho incontrato persone che desideravano la presenza del prete nella loro casa, anche se magari confessavano di non essere molto praticanti. Interpreto questa attesa come un modo sincero di esprimere la propria fede. Ho incontrato persone, specialmente anziane, che attendevano una parola di conforto e di consolazione. In altre invece ho percepito l’attesa di una liberazione, il bisogno di riconciliarsi con persone vicine, una riconciliazione che liberi dal peso di una incomprensione che separa, di una divergenza di vedute che tiene lontani. Ho trovato anche chi è in attesa di un figlio: una attesa stupenda, ricca di emozioni, di sogni e di speranze. Ho trovato altri invece che, con meno spensieratezza, attendono un lavoro, dopo averlo perso: famiglie preoccupate per il loro futuro, per il futuro dei figli. Altre infine che attendono genericamente che accada una novità nella loro vita diventata forse troppo abitudinaria e senza particolare slancio.

 

A tutti coloro che attendono qualcosa io ricordavo che siamo nel tempo liturgico dell’Avvento. Noi descriviamo di solito questo tempo come l’attesa della nascita di Gesù. È vero! Ma quale attesa? L’attesa cristiana non è una esperienza passiva, uno “stare ad aspettare”. È invece un’esperienza attiva, dinamica, appassionata, operosa: un mettersi in gioco. Non rassegnazione, ma un nuovo protagonismo, proprio come dice la parola stessa: ad-tendere, tendere verso qualcosa. I cristiani in Avvento non attendono un Gesù neonato che si fa cullare poeticamente, ma il Signore che viene a fare pienamente nuovi i cieli e la terra.

 

A tutte queste famiglie vorrei dire semplicemente grazie! Grazie perché aprendo le porte delle vostre case mi avete permesso di portarvi la benedizione di Dio attraverso una semplice preghiera. È Gesù stesso che chiede questo. Dopo la sua risurrezione, incontrando gli apostoli dice loro: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15). Un grazie perché queste visite arricchiscono la mia preghiera: prima di uscire presentando i volti ancora non incontrati al Signore; al termine raccontando al Signore le varie famiglie visitate. Grazie di questo.

 

Grazie anche a coloro che non hanno voluto aprirmi la porta. Non ho certamente la presunzione di sapere il motivo per cui hanno rifiutato la visita. Posso tentare di immaginarlo: motivi ideologici, delusioni per la scarsa testimonianza della chiesa e scandali vari, esperienze negative personali vissute magari da giovani, una fede vissuta solo a livello personale e non comunitaria, la professione di un’altra fede o altro ancora. Di fronte alla vostra porta chiusa il grazie è perché mi costringete a restare umile, a pormi tante domande e a farmi l’esame di coscienza. E mi obbligate a ricordarmi, come dice Gesù nel vangelo di Giovanni: «E ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre»

 

(Gv 10,16). So per esperienza che a volte basta una parola del prete interpretata male, per allontanarsi dalla chiesa. In questo caso spero che ci sia sempre il modo di comprendersi e di rincontrarsi.

 

Stiamo concludendo l’Anno Santo straordinario, quello della misericordia. Penso che una misericordia particolare sia quella di poter mantenere aperta la possibilità di un bel dialogo tra tutti noi,

 

Ed arriva anche Natale. In un momento di lucidità mi chiedo: ma arriva come imposto dal calendario e quindi come ulteriore problema che mi può affannare (Messe, celebrazioni varie, confessioni: tutte cose che urgono e si impongono) o sta arrivando perché desiderato, atteso, accolto?

 

Natale è la festa dell’attesa: e gli angeli proprio ai pastori, gente abituata ad attendere, portano il primo annuncio del grande evento della nascita del Figlio di Dio.

 

L’augurio che faccio a me e a tutti voi è, in questi giorni, di riuscire a stravolgere le priorità della giornata. Troviamo il tempo per pregare. Gesù ci parla nel silenzio. È nato Bambino. Per ascoltarlo dobbiamo guardare il suo sorriso. E la sua tenerezza, almeno nel giorno di Natale, ci riempirà della presenza di Dio.

 

A tutti, proprio a tutti, l’augurio di un Santo Natale e un sereno anno nuovo.

 

don Claudio