Abbiamo un forte bisogno di speranza

Nonostante quello che è capitato a Berlino, noi tutti abbiamo trascorso i giorni di Natale come sempre… ed è giusto così: siamo andati Messa, ci siamo ritrovati nelle case, abbiamo fatto festa attorno ad una tavola imbandita, abbiamo aperto i regali. Il Natale ci ha fatto sentire e crescere nel cuore una voglia nuova di sentimenti belli, puri, autentici che in qualche modo sono in antitesi con la rabbia che ci viene spontanea dopo quei fatti di odio.

 

Tutti i riti che hanno accompagnato il Natale sono stati segni importanti che ci ricordano le radici della nostra convivenza fatta di quotidianità, di lavoro e di svago, di semplicità nello stare insieme e di coesione nei momenti difficili. È giusto continuare a farlo perché dobbiamo essere più coraggiosi della morte che tende a chiuderci e a farci paura. La vita deve scorrere nella sua normalità e nulla può fermare i valori che danno senso alla nostra esistenza: libertà, fraternità, amicizia, gioia, pace… non fuga, isolamento, vendetta, guerra...

Dobbiamo farlo per dire a chi ci vuole uccidere che non si può distruggere ciò che è più vero nel cuore delle culture. Dobbiamo evitare il rischio di chiuderci dentro sicurezze private, facendo dipendere la nostra salvezza solo dalle barriere di difesa. È certamente simbolico che la strage di Berlino sia capitata proprio nel luogo dove, tempo fa, esisteva un muro che era la vergogna dell'umanità, che è stato abbattuto diventando così il simbolo della caduta di ogni divisione e della riconciliazione tra due mondi confinanti, ma ideologicamente agli antipodi. Mai come oggi anche tra noi cristiani circolano sentimenti di odio, eppure il Natale che abbiamo celebrato ci ha ricordato l'ottimismo di Dio. Egli conosce da sempre il nostro peccato e non si è chiuso nel "suo" cielo, anzi l'ha lasciato per diventare uomo come noi e quindi nostro fratello con l'intento di cambiarci il cuore. Quando prevale la paura si rischia di "costruire muri" sempre più alti, mentre la logica cristiana tende ad abbatterli.

 
Quando ci si trova di fronte ad un bambino inerme ci si sente più bambini e si riscoprono le voglie più pure che sono in noi. Ma questa voglia di tenerezza e di bontà che scopriamo nascosta nei nostri cuori non può annebbiare quei gridi di speranza che riecheggiano fortemente nel nostro mondo: gente che piange, che non ha casa, non ha sicurezze, non ha amicizie, non ha futuro e quindi non ha sguardi di speranza. Dio nasce come bambino e la gente continua a morire, ad uccidersi, ad imbrogliare, a drogarsi, a scappare! «Che ci vieni a fare, o Dio, tra noi?». Il Signore nasce perché crede in un futuro, Dio è convinto di cambiarci il cuore!
In questo nuovo anno che si sta aprendo davanti a noi, Dio scommette che Lui sarà capace di cambiare il male in bene. Dice il profeta: «Non temere, Sion, non lasciarti cadere la braccia! Il Signore è in mezzo a te, è un salvatore potente» (Sof 3,16-17). «Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in una terra tenebrosa una luce rifulse» (Is 9,1-2).
Dio vuole un popolo che ha speranza: noi dobbiamo esserlo. Il mondo ha bisogno della nostra fede, ha bisogno di una ventata di ottimismo, non di parole che fomentano l'odio e cercano vendetta, ha bisogno di sogni affascinanti e veri, ha bisogno di vedere che c'è anche oggi la possibilità di vincere il male, nonostante le porte del cuore ancora chiuse, nonostante le paure e gli egoismi. Ecco perché è bello essere Chiesa, una comunità con grandi valori ed ideali. L’incontro con Gesù ci invita a verificare i nostri sogni e le nostre attese. Ci chiede di rischiare, come il Signore ha fatto facendosi uomo, ci chiede di non limitarci a credere in un Dio senza volto e senza cuore, in un "Dio privato" che incontriamo solo nel nostro intimo e nelle chiese vuote e silenziose (magari davanti al cero che abbiamo acceso per devozione), ci chiede di rischiare nelle relazioni con gli altri, di riunirci insieme per sentirci fratelli attorno alla stessa eucaristia, per far diventare la nostra fede un grido di speranza corale, non una debole e silenziosa preghiera che riempie il cuore, ma che non ci fa diventare popolo che proclama le meraviglie di Dio.
La speranza, manifestatasi in una grotta a Betlemme, è per tutti. Noi che abbiamo creduto come i pastori, siamo chiamati a dirlo; se non lo facciamo, forse è perché lo "stupore" non ci ha ancora coinvolti o perché abbiamo paura. Il Signore anche in questo nuovo anno rinnova l’invito ad “andare”. Il battesimo che abbiamo ricevuto ci fa sentire "mandati", come coloro che cantano nella notte: nessuno li obbliga ma lo fanno perché hanno la gioia nel cuore. La Chiesa è missionaria - ci dirà il concilio - e se non lo è, non è Chiesa. 
Confermiamo il nostro impegno di essere missionari. Nonostante le prove e i pericoli, testimoniamo con coraggio la nostra appartenenza a Cristo e viviamo il Vangelo facendo del bene a tutti senza distinzione. Rinnoviamo la gioiosa e coraggiosa volontà di seguirlo fedelmente come unica guida, perseverando nel vivere secondo la mentalità evangelica, portando ovunque segni di speranza. Buon anno!
                                 don Claudio