Prima di tutto serve il cuore!

La giornata della famiglia che abbiamo vissuto domenica 28 gennaio, ci ha fatto ripensare a quella formata da Gesù, Giuseppe e Maria. Una famiglia certamente in cui viveva l’amore reciproco tra i suoi membri, ma sicuramente non privilegiata dal punto di vista materiale. Oggi l’Istat l’avrebbe inclusa tra le famiglie che sono sotto la soglia della povertà o l’avrebbe definita “precaria” o migrante. Certo le esigenze di quei tempi non erano le nostre. E poi, avere come figlio Gesù, il Figlio del “Grande capo” … cosa pensate? Che alluda a favoritismi? No, certamente.

 

Durante la celebrazione in tensostruttura sedici coppie della nostra comunità pastorale, che hanno frequentato il corso in preparazione al matrimonio cristiano, hanno comunicato la loro decisione di unirsi nel Signore e, con la Grazia di Dio, formare una nuova famiglia cristiana con il sacramento del matrimonio. Pensando a loro e alle altre future famiglie che tardano a costituirsi perché non ci sono le condizioni per realizzarle, mi domando: è solo un precariato economico e sociale oggi o esiste anche un precariato affettivo, che influisce sul prendere decisioni importanti e definitive per la propria vita?

Papa Francesco in una sua omelia sottolineava una evidente ipocrisia dei nostri tempi: “Abbiamo creato una cultura che, da una parte, idolatra la giovinezza cercando di renderla eterna, ma, paradossalmente, abbiamo condannato i nostri giovani a non avere uno spazio di reale inserimento, perché lentamente li abbiamo emarginati dalla vita pubblica obbligandoli a emigrare o a mendicare occupazioni che non esistono o che non permettono loro di proiettarsi in un domani”. Una spietata descrizione della realtà in cui siamo immersi, situazione che la singola persona non potrà mai cambiare da sola.

 

C’è però un qualcosa che il singolo può fare: lavorare su sé stesso. Una famiglia si prepara da lontano. Voglio dire che la famiglia è come una grande mèta, un meraviglioso traguardo. Come gli atleti si allenano per arrivare al traguardo e alla mèta, così anche chi aspira alla famiglia può iniziare fin da piccolo il suo allenamento, iniziando a custodire ed educare il cuore, attraverso esercizi del dono di sé, di assunzione di responsabilità, di ricerca della bellezza, di esercizio dell’impegno, di piacere per la gratuità. I saggi della montagna dicono: “Conquisti la vetta, se prima la vetta ha conquistato te”.

 

Per formare una famiglia occorre non solo avere un appartamento o un lavoro non precario. Questi sono solo strumenti, attrezzature per scalare la vetta. Sono necessari, ma occorre anche il fiato e un cuore per raggiungere la cima. Occorre cioè, prima di tutto, avere fatto spazio dentro di sé a ciò che la famiglia è e rappresenta. Occorre avere formato dentro di sé una casa per la famiglia. Per questo alla S. Famiglia di Nazareth è bastato un riparo per le bestie: la loro casa era nei loro cuori.

 

Se i giovani d’oggi non riescono ad avere delle sicurezze economiche e lavorative, beh, aiutiamoli almeno ad avere un cuore sicuro, capace di amare e di offrirsi liberamente.

 

Sempre l’ultima domenica di gennaio, durante la Messa celebrata in tensostruttura, abbiamo ricordato l’ottavo compleanno della nostra Comunità Pastorale, infatti ha iniziato la sua scalata il 1° febbraio 2010. La nostra comunità pastorale non è solo formata da quattro parrocchie, ma da ben oltre 3800 famiglie. Non dimentichiamo che la Chiesa è una famiglia di famiglie e, come la famiglia necessita di un cuore capace di amare, anche la nostra comunità ha bisogno di questo cuore per poter testimoniare con sempre più trasparenza l’amore di Dio.

 

Alla comunità pastorale è stato chiesto di fare un salto di qualità per pensare insieme, definire insieme la propria missione di testimone del Vangelo. La comunità è chiamata ad andare oltre la custodia di una tradizione; non è la nostalgia che fa la chiesa o la continua lamentela, non è la competizione tra le parrocchie per vedere chi fa di più!!! Questa logica distrugge e svuota il cuore della comunità portandola a perdere il respiro e a soffrire di sclerocardia.

 

Invochiamo, allora, la Sacra Famiglia affinché la nostra comunità diventi più famiglia, diventi Chiesa «famiglia di famiglie» che si apre a ciò che vale, che si impegna nell’abbattere quegl’inutili muri che allontanano dalla mèta e sia luogo dove ognuno può arrivare, fermarsi, risanarsi, rimanere e cogliere così quel cuore nuovo che solo Dio ci dà.

 

 

 

don Claudio