2 domenica di Quaresima

La vita è fatta di incontri. Ciò che noi siamo lo dobbiamo agli incontri che abbiamo avuto, alcuni dei quali hanno segnato la nostra storia. Ogni incontro comporta un rischio, infatti un incontro può arricchire o impoverire, può aprire o rinchiudere.

Oggi, la liturgia di questa seconda domenica di Quaresima, ci presenta l’incontro di Gesù con la donna Samaritana. Questa donna va al pozzo a prendere acqua a mezzogiorno nell’arida terra di Palestina, nel torrido deserto di Giuda, queste precisazioni indicano il desiderio della donna di non voler incontrare nessuno. Non voleva incrociare gli occhi e i giudizi degli abitanti che conoscono la sua situazione sentimentale disastrata. Si sente a disagio, fragile, con tante cicatrici sul cuore. Teme il solito dito puntato. Invece trova una mano aperta, incontra Gesù.

E su questo incontro vogliamo fermare la nostra attenzione.

Gesù parte da una situazione molto materiale “aveva sete” e attraverso un “botta e risposta” porta la donna la dove desiderava. Le parole presentano un crescendo di dottrina fino alla proclamazione di Gesù come il Messia.

Gesù parla sette volte alla donna, e altrettante volte lei risponde: la settima risposta tuttavia non è verbale, ma corrisponde al suo correre in città a proclamare il Messia che ha riconosciuto.

In questo dialogo dove cade l’accento? Cioè dov’è il punto che fa mettere in discussione la donna? Decisivo è il quarto momento, quello in cui Gesù obbliga la donna a passare da una riflessione generale alla considerazione di sé, dicendole: “Va’ a chiamare tuo marito”; e lei risponde: “Non ho marito”. E’ obbligata a rientrare in se stessa.

Questo ci dice che, finché non si arriva al punto di interrogare seriamente se stessi, l’ascolto della Scrittura non produce molto frutto. Questo lungo dialogo ci dice che ci vuole tempo e pazienza per conoscere veramente Gesù.

Il Signore in questo tempo quaresimale vuole incontrare ciascuno di noi. Vuole insegnarci a guardarci dentro con schiettezza e ad accorgersi che Lui ci attende sempre al pozzo delle nostre giornate, non per accusarci o giudicarci, ma amarci.

Il vangelo vuole aiutarci anche a incontrare noi stessi per poi incontrare Gesù.

C’è un cammino da fare.

E’ come quando si pianta un fiore, nessuno osa giudicarlo perché debole e non ha radici profonde, ma si aspetta. Quando germoglia la nuova piantina, nessuna pensa di condannarla perché è fragile, incapace di dare subito dei bei fiori. Ad ogni stadio che il fiore attraversa egli esprime il meglio di sé.

Anche noi nella nostra crescita, nella vita spirituale e nella fede, passiamo per vari stadi: dovremmo imparare a riconoscerli.

E’ interessante notare cosa è successo dopo aver incontrato il Signore:

La Samaritana arriva aggrappata alla sua brocca e se ne va lasciandola al pozzo.

Arriva con un vaso vuoto, se ne va con un cuore pieno.

Arriva con gli occhi bassi, se ne va a testa alta. Arriva lenta, chiusa in sé, se ne va correndo con l’annuncio di un qualcosa di bello da condividere.

E’ sempre bella e vera l’espressione che troviamo nel “Piccolo principe”: “Ciò che rende bello il deserto è che nasconde da qualche parte un pozzo… non si vede bene che con il cuore, l’essenziale è invisibile agli occhi”.

Un incontro che nasce dalla curiosità (la donna dice a loro: “Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto”) matura in un’adesione fiduciosa (loro dicono alla donna: “Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito”) Hanno “com-preso”, fatto loro.

Che il Signore ci faccia bruciare di sete interiore da far buttar giù la porta blindata del nostro cuore per trovare l’acqua viva, Gesù. E ritrovare in lui quella forza, quel coraggio, quell’entusiasmo tanto necessari per testimoniare il suo amore in mezzo noi.