Il tempo estivo sta terminando, il lavoro, me lo auguro per tutti, è ricominciato, la scuola dei nostri ragazzi sta riaprendo le porte, i soliti problemi si sono magari già riaffacciati. Anche le nostre parrocchie riprendono le loro abituali attività.
Prima, però, di guardare avanti, permettetemi uno sguardo indietro. Mi sembra importante questo sguardo retrospettivo per due motivi: per ringraziare tutti coloro che hanno permesso la buona riuscita delle attività ed esperienze estive, ma anche per verificare quanto vissuto in questi ultimi mesi in vista di sempre migliori proposte per l’avvenire.
L’inizio dell’estate COPS penso si possa far coincidere con la fine delle scuole e con le ultime feste patronali e oratoriane. Un grazie sentito a tutti coloro che hanno pensato e organizzato i vari momenti delle tante feste. Ho avuto però l’impressione, mi direte se sbaglio, che spesso ne viene meno, così in generale, il desiderio di lavorare insieme per far festa, soprattutto quando si tratta di uscire dal “proprio orticello” e magari dare una mano o almeno partecipare alle feste delle altre parrocchie. Si sta rilassando il senso di appartenenza ad una comunità ben più grande dei confini del proprio paese. Cosa fare? Non penso sia sufficiente organizzare una festa con “effetti speciali”, se manca un sentirsi comunità durante tutto l’anno. E’ su questo che dobbiamo impegnarci ed è l’invito del nostro Arcivescovo. Una comunità cristiana educa quando si sente unita e sperimenta la bellezza della comunione.
Guardando in avanti la nostra attenzione potrebbe concentrarsi sulle cose da fare, sulle proposte e attività dell’anno e anche su qualche novità in arrivo (penso ad es. alla riforma della catechesi introdotta in Diocesi). E’ giusto avere questa attenzione. Ma perché non succeda come per le feste, cioè fare delle cose solo perché vanno fatte, solo perché ci aspettiamo che ci siano, prima dovremmo farci una domanda, che non ritengo retorica, ma molto seria: “che cosa cerco io dalla mia comunità cristiana?”, “che cosa mi aspetto che faccia?”. Impiegare del tempo per interrogarsi e interrogare sulle attese, specialmente di chi – lo dico con simpatia - “non è dei nostri”, di chi sta sulla soglia della chiesa, di chi si affaccia alla comunità, non è perdere tempo, ma una prima forma di amore verso gli altri. D’altra parte Gesù stesso – e noi da Lui dobbiamo imparare - non ha iniziato il suo ministero pubblico invitando la gente a fare qualcosa o a stare ad ascoltarlo. No, Gesù inizia con una domanda: “che cosa cercate?” (cf Gv 1,38), così come, dopo la sua risurrezione, si rivolge a Maria di Magdala con questa folgorante domanda: “chi cerchi?” (cf Gv 20,15). Il “fare” di Gesù sta entro queste due domande, perché il suo fare è risposta alla ricerca di amore e di verità dell’uomo.
Queste domande devono diventare le nostre domande, perché anche l’inevitabile fare di una parrocchia non sia solo la messa in pratica di un copione già scritto, ma il tentativo di rispondere con quanto sta nel cuore e ridare maggior vigore al nostro voler “Camminare insieme”.
La comunione tra noi cresce se ciascuno porta avanti con serietà il proprio cammino. In altri termini, la comunione cresce quando diventa “corresponsabilità”. Un termine che spesso i miei più stretti collaboratori hanno sentito in questi anni. Chi è il corresponsabile? Diventa corresponsabile chi, in qualche misura, si fa carico di un cammino. Ciò comporta “la condivisione di scelte che riguardano tutti”. Chi semplicemente sta a vedere o al massimo esegue degli ordini, non è un “corresponsabile”; tanto meno chi guarda da un’altra parte e rimane estraneo al cammino.
Per condividere le scelte è necessario che in ogni parrocchia si rendano più operativi quegli organismi (commissioni pastorali, commissioni oratoriane……) nei quali ci si allena all’ascolto reciproco, al confronto delle posizioni, fino a maturare, secondo la responsabilità di ciascuno, decisioni ponderate e condivise. Non lasciamo che sia sempre il parroco o la suora a stimolare, a richiamare, a provocare. La parrocchia cammina insieme se, attorno al parroco e alla suora, ci sono dei laici ricchi di fede e di disponibilità che si fanno carico dell’elaborazione di scelte e poi del sostegno da dare una volta che esse sono state compiute. Laici corresponsabili del bene e del futuro della comunità, non persone nostalgiche, chiuse nei propri rimpianti lamentosi e per niente costruttivi.
C’è un breve paragrafo della Lettera Evangelii Gaudium di Papa Francesco in cui parla dei danni che derivano dalle guerre tra di noi, mi è sembrato molto bello perché in pochi punti il papa spiega che cosa lui intende per "Chiesa-comunione". La frase-chiave è quella contenuta al punto 99: «Ai cristiani di tutte le comunità del mondo desidero chiedere specialmente una testimonianza di comunione fraterna che diventi attraente e luminosa». Lo chiede ai cristiani, a coloro che si trovano in tutte le comunità, e quindi lo chiede alla Chiesa. E chiede che, nelle varie comunità dove si trovano, essi diano una testimonianza di amore reciproco, diano una testimonianza di comunione fraterna.
Che cosa può impedire tale comunione fraterna? Lo dice nel paragrafo precedente, è la mondanità spirituale: «La mondanità spirituale consiste nel cercare, al posto della gloria del Signore, la gloria umana e l’interesse personale» (95). Consiste nel guardare a sé stessi invece che a Dio, invece che agli altri. Questa mondanità spirituale impedisce in radice ai cristiani di avere fra di loro una comunione fraterna. Quindi bisogna andare contro questa mondanità spirituale.
È molto bello, inoltre, il fatto che il papa renda molto concreta questa visione della Chiesa-comunione: invita a cominciare. Cominciamo col pregare per quella persona, uomo o donna, che in questo momento ci sta antipatica, che non vorremmo amare. Cioè invita a fare un primo passo, anche minimo, anche semplicemente quello di ricordarlo nella preghiera. Ciò aiuta a superare ogni ostacolo vivendo la comunione fraterna al di là di tutto fra cristiani delle diverse comunità; ciò rende possibile anche a coloro che sono distrutti da odi e rancori, che hanno sofferto per inimicizie e tradimenti un «gioioso ritorno».
Iniziamo dunque un nuovo anno pastorale preoccupati non tanto di fare cose, ma di conoscere e farci conoscere sempre più, magari, come ci suggerisce il Papa, cominciando col pregare gli uni per gli altri … è una via sicura affinchè il nostro cammino possa proseguire “insieme”.
don Claudio