Condivisione - Conversione - Comunità

In queste settimane dopo Pasqua più volte sono stato provocato a riflettere sul nostro modo di vivere la comunione e soprattutto come la comunità cristiana dovrebbe essere luogo di comunione. Ogni anno celebro per ben 4 volte la Prima Comunione nelle nostre parrocchie.  Questo momento è bello e significativo per tante famiglie che vedono i loro figli ricevere per la prima volta Gesù nell’Eucarestia. Quanto mi auguro che questo ragazzi trovino nelle nostre comunità persone accoglienti e pazienti che sappiano essere loro di esempio.

 

Anche la parola di Dio di queste domeniche di aprile è tutta intrisa di richiami alla comunione, all’amore che deve esistere tra i cristiani all’interno di una comunità cristiana. «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

 

Gesù ha pregato tanto per l’unità dei discepoli. È la preghiera dell’Ultima Cena: «Padre, che siano una cosa sola». Con queste parole, Gesù si è fatto nostro intercessore presso il Padre, perché possiamo entrare anche noi nella piena comunione d’amore con Lui; allo stesso tempo, le affida a noi come suo testamento spirituale, perché la comunione possa diventare sempre di più la nota distintiva delle nostre comunità cristiane.

 

Gli Atti degli Apostoli, che stiamo leggendo in questo tempo pasquale, ci ricordano che i primi cristiani si distinguevano per il fatto di avere «un cuore solo e un’anima sola».

 

Papa Francesco in una sua udienza sottolineava che l’esperienza quotidiana, purtroppo, ci dice «che sono tanti i peccati contro l’unità. E non pensiamo solo agli scismi, pensiamo a mancanze molto comuni nelle nostre comunità, a peccati “parrocchiali”. A volte, infatti, le nostre parrocchie, chiamate ad essere luoghi di condivisione e di comunione, sono tristemente segnate da invidie, gelosie, antipatie… E le chiacchiere sono alla portata di tutti. (…) Questo succede quando puntiamo ai primi posti; quando mettiamo al centro noi stessi, con le nostre ambizioni personali e i nostri modi di vedere le cose, e giudichiamo gli altri; quando guardiamo ai difetti dei fratelli, invece che alle loro doti; quando diamo più peso a quello che ci divide, invece che a quello che ci accomuna…» (udienza del 27 agosto 2014).

 

La divisione all’interno della chiesa “è uno dei peccati più gravi”, perché rovina i rapporti e spezza la comunione con Dio.

 

Nella nostra comunità pastorale ci sono molte segni concreti che esprimono comunione di cui sono riconoscente al Signore. Mi astengo dall’elencarle sia perché le vedete anche voi, sia perché in parrocchia ci si impegna non per essere elogiati o incensati per quello che si fa.

 

Per stimolarci a migliorare sempre, invece, è molto più importante indicare quello che ostacola il fare Chiesa. Le debolezze le scopriamo nel confronto con la Parola. Proprio qualche domenica fa abbiamo sentito: “Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere. Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati”.

 

Queste “assiduità” stentano ad entrare nella mentalità diffusa: l’assiduità all’ascolto viene ribadita come necessaria anche ogni domenica negli avvisi: “la prima e principale attività della Parrocchia è la formazione di cristiani adulti attraverso i gruppi di ascolto, la pastorale familiare gli incontri per i genitori … e puntualmente si verifica che mille altre cose hanno il sopravvento. Se non ci si forma una mentalità cristiana si cade nel rischio denunziato da questa espressione: “Le grandi menti discutono delle idee, le persone medie discutono dei fatti, le piccole menti (s)parlano delle persone”. Il chiacchiericcio, il pettegolezzo, la maldicenza sono segnali non solo di una comunità scadente, ma di una umanità scaduta.

 

L’assiduità alla “frazione del pane” cioè alla Messa è sostituita dal “se non ho niente di meglio da fare”. Sempre più capita che confessiamo i ragazzi nei giorni di catechismo e prima del giorno della Prima Comunione, poi, la domenica che segue, più della metà mancano a Messa. I ragazzi sono la cartina di tornasole del mondo dei propri genitori, degli adulti. Una celebrazione dell’Eucarestia a singhiozzo forma una Chiesa a singhiozzo.

 

Uno dei peggiori nemici della comunione è il protagonismo che si nutre di gelosia e invidia. Il protagonismo non ha a che fare con la Chiesa. È vero, spesso ci sentiamo accusare che non siamo all’altezza nel nostro servizio e che tutto si è fermato! Pazienza! Altre istituzioni fanno meglio di noi e ne siamo grati al Signore. La Chiesa non lavora sulla concorrenza, ma con le povere forze che ha, agisce certa di essere animata dallo Spirito del Signore alla quale appartiene. È questa consapevolezza che, pur essendo poveri e spesso incapaci, ci fa trovare la gioia nel cuore. Come è bello e testimoniante vedere cristiani che servono con gioia e si spendono con amore pur nella loro fragilità

 

Anche questo è un distintivo chiaro del “per chi ci diamo da fare”: la gioia non la tristezza; un viso sorridente con tutti e non un volto sempre oscuro e triste.

 

In questo periodo si stanno svolgendo nei nostri paesi le feste patronali, mettiamo come sfondo alle grandi organizzazioni queste tre parole: condivisione, conversione e comunità. Sarebbe proprio bello vedere che dalle nostre feste, dove ognuno dà quello che può dare (condivisione), si ritrovi il coraggio di ripartire (conversione) e impegnarsi nella comunità, prendendoci a cuore gli uni gli altri, con il desiderio, come spesso ci richiama il nostro Arcivescovo, di essere ora e sempre “un cuore solo e un’anima sola”.

 

 

 

don Claudio