Più volte, in questi anni, Papa Francesco nei suoi discorsi, o sarebbe meglio dire chiacchierate, ha spronato la Chiesa ad uscire,
ad andare verso le periferie esistenziali – espressione questa diventata molto famosa.
Riporto un brano di questi discorsi: «Vivere il Vangelo è il
principale contributo che possiamo dare. La Chiesa non è un movimento politico, né una struttura ben organizzata, né una ong... La Chiesa, piuttosto, è chiamata a essere lievito, con amore
fraterno, solidarietà e condivisione. La crisi attuale non è solo “economica” o “culturale”: è in crisi l’uomo come immagine di Dio; è, perciò, una crisi profonda. Guai, allora, a chiuderci in
noi, in parrocchia o nel nostro gruppo. Quando la Chiesa è chiusa, si ammala. La Chiesa deve uscire verso le periferie esistenziali». (Veglia di Pentecoste, 18 maggio
2013)
Mi sono chiesto: ma cosa sono queste periferie esistenziali? Chi fa
parte di queste periferie? E allora ecco che parte un lungo elenco di situazioni, categorie, luoghi.
Ma è solo questo che ci sta dicendo il Papa? Sento che il Papa non
ci sta solo dicendo di fare elenchi di categorie, situazioni e luoghi. Le domande che mi sono fatto alla provocazione di Papa Francesco, mi sembrano un po’ come una scusa, come una uscita di
sicurezza dalla quale scappare, un po’ come quella che il dottore della Legge fece a Gesù: «E chi è il mio prossimo?» (cf Lc 10,19). Sappiamo che a questa domanda Gesù rispose con la parabola del
buon Samaritano, parabola che ribalta la domanda: non tanto “chi è il mio prossimo?”, ma “di chi io sono prossimo?” Pensando a questo episodio evangelico ho provato a ridarmi una risposta alle
mie domande: ma cosa sono queste periferie esistenziali? Chi fa parte di queste periferie? Certo ci sono le periferie geografiche, urbane. Ma anche i paesi che abitiamo possono diventare
periferia. Perché la periferia – ed è questa la risposta che mi sono dato – non è determinata dagli altri o dalla collocazione territoriale, ma è determinata da me. Periferie sono tutti quei
luoghi, situazioni in cui io non sono ancora stato o non voglio affrontare. È la mancanza di relazione, dovuta alla paura, al disinteresse, alla ricerca della propria tranquillità e a tanti altri
motivi, che crea le periferie.
La nostra comunità pastorale, su invito dell’Arcivescovo, ha
accolto quattro profughi provenienti da paesi africani. Da più mesi vivono tra noi! Quanto pochi sono i cristiani che s’interessano di loro, che vanno a trovarli, che chiedono sul loro essere
qui, che si rendono disponibili per un aiuto.
Il Papa ad Assisi, nel raduno mondiale con tutte le religioni,
esortava i presenti ad affrontare la grande malattia del nostro tempo: l’indifferenza. “È un virus che paralizza, rende inerti e insensibili, un morbo che intacca il centro stesso della religiosità, ingenerando un nuovo
tristissimo paganesimo: il paganesimo dell’indifferenza”. Sono espressioni forti che toccano anche noi! Non possiamo
restare indifferenti.
Periferia è parola che presuppone un centro. Papa Francesco ci sta
invitando a decentrarci da noi stessi per accorgerci senza timore degli altri, che non sono fastidio, ma una ricchezza. Anche da noi.
don
Claudio