Omelia di saluto alla COPS

La lettera agli Ebrei, che la liturgia ci fa dono in questa domenica, ci regala le parole giuste per dare senso a questa celebrazione di saluto. L’autore ci dice che la vita è come una corsa e quando si è in gara non si guarda a destra o a sinistra, ma si fissa lo sguardo verso la mèta. La lettera agli Ebrei ci parla di un arrivo ben preciso, che sta davanti a me, una mèta che mi ha sostenuto nei miei 35 anni di sacerdozio e in particolare questi ultimi 10 anni passati con voi: “Tenete fisso lo sguardo su Gesù, colui che origine alla fede e la porta compimento”. Lontani da lui… si perde la gara!

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Consegna BILANCINO D’ORO

Ringrazio innanzitutto il Sindaco Prof.ssa Stefania Maffioli, l’Amministrazione
comunale di Oggiona con S. Stefano, i signori Consiglieri di maggioranza e minoranza, la
commissione benemerenze civiche e in particolare la vicepresidente della Regione
Lombardia Sig.ra Francesca Brianza. E un grazie per la presenza inaspettata di Mons
Luigi Stucchi e del Vicario di Varese Mons Giuseppe Vegezzi. E un grazie a tutti voi qui
presenti.

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L’amore è forte come la morte!

uesto mese di aprile ci porta al cuore della nostra fede cristiana. Sì, il cuore della nostra fede è la risurrezione di Gesù Cristo. L’antico saluto che i cristiani si scambiavano a Pasqua, che ancora si usa in Oriente, suona proprio così: «Cristo è risorto!». La risposta è un’approvazione altrettanto gioiosa: «Sì, è veramente risorto».

 

Perché la risurrezione di Cristo è così centrale? S. Paolo, nel capitolo 15 della sua prima lettera ai Corinzi ci scrive: «Se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede». E più avanti ribadisce: «Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati».

 

Ecco, però, la buona notizia: «Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti... Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita». Si tratta della vita divina, della trasfigurazione del nostro stesso corpo, che risorgerà incorruttibile, glorioso, spirituale. Tutto questo inizia già in questa vita, comportandosi bene, secondo Dio, e sarà perfetto nell’eternità.

 

La risurrezione di Cristo, dunque, dà senso alla nostra fede e ci apre la prospettiva dell’eternità, della felicità senza fine. Cristo, infatti, è la primizia. Anche noi, uniti a lui, risorgiamo oggi a nuova vita e risorgeremo nell’ultimo giorno con il nostro corpo.

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Una volta… ora non è più così!

Camminiamo, continuiamo a camminare! Questo è l’invito che ci è stato proposto per celebrare la Festa della Famiglia vissuta nella nostra diocesi qualche settimana fa. Il cammino implica movimento, andare avanti, non fermarci!!! Se il cammino non sempre è facile farlo a piedi il Papa in una omelia mattutina di qualche mese fa diceva di farlo in bicicletta. Si, la Chiesa è come una bicicletta: può restare in equilibrio solo se è sempre in movimento. Sì, proprio una bicicletta. Con le ruote, la catena, i pedali e tutto il resto. Perché, come questa, la Chiesa sta in piedi, sta in equilibrio solo quando è in moto; se la lasciamo ferma, cade.

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La festa continua se ci amiamo!

Natale è finito? Le luci del Natale sono ancora accese, ma viviamo questi giorni con un sentimento di vaga tristezza che viene dalla percezione che ormai tutto è passato: la festa, le vacanze, (forse) la gioia: è famoso il detto che "l'Epifania... tutte le feste le porta via!". Eppure, ci sono dei momenti nei quali il "bello" viene dopo avere celebrato la festa, penso - ad esempio - a quando due giovani celebrano il matrimonio, quel giorno è certamente significativo per loro, lo hanno atteso da tempo, ma il "bello" viene dopo... quando, ormai spente le luci della festa e tutti sono ritornati alle loro case, incomincia il momento della vita comune: gli anni che seguono sono il vero momento di gioia che è meraviglioso proprio perché perdura e non finisce mai, anzi più il tempo passa e maggiormente c’è la possibilità di gustare in profondità il senso di quel legame che è stato celebrato nel giorno della festa. Lo stesso dovrebbe valere per il Natale che abbiamo appena celebrato. Lì ci siamo accorti che Dio non si è dimenticato di noi, anzi ci ama così tanto da farsi vedere, prendendo la forma umana di un bambino: è la voglia di chi è innamorato ed è pronto a tutto pur di rivelare il proprio amore alla persona amata.

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Noi vogliamo essere Dio… e Lui si fa uomo!

Lo scorso 11 novembre abbiamo vissuto “la giornata del povero” proposta dalla nostra Diocesi di Milano ed anche il tempo di avvento che stiamo vivendo - che è particolarmente caratterizzato dall’attenzione ai più bisognosi – ci sollecita a riflettere sul problema della povertà. Tutti siamo mancanti di qualcosa perché nessuno di noi possiede tutto. Nasciamo piccoli e fragili e diventiamo grandi e capaci di destreggiarci nella vita. Crescere vuol dire ricevere informazioni, scoprire cose nuove, aumentare le capacità... in altre parole “diventare maturi". Ma pur aumentando conoscenze e capacità rimaniamo sempre uomini e donne certamente liberi e dalle molte possibilità, ma pur sempre limitati ed imperfetti.

 

C’è una grande illusione che ci accompagna da quando è nato il mondo: diventare onnipotenti e perfetti, in altre parole saper fare tutto! A ben vedere è stata proprio questa la prima tentazione all'inizio della storia degli uomini: Adamo ed Eva nel paradiso terrestre sono convinti da una voce suadente, che la Bibbia rappresenta con l’immagine del serpente: «voi non siete limitati, voi non siete fragili, ma potenti, meglio "“onnipotenti" cioè siete dio».

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Dio si incammina per farsi vicino all’uomo…

Carissimi!

 

C’è una domanda che risuona in me in questi giorni: “cosa ci riserva il futuro? Cosa ci possiamo aspettare? Spesso ce lo chiediamo, da tanti punti di vista: personale, lavorativo, affettivo, di salute e tante volte non riusciamo a darci delle risposte capaci di rasserenarci, come se il domani fosse solo carico di incognite.

 

Anche la comunità cristiana… verso quale futuro si sta incamminando? Le nostre chiese si svuotano sempre di più, come saranno fra vent’anni?

 

Domande che chiedono di rendere viva e operosa l’attesa, senza lasciarci prendere dall’affanno, attesa ricca di speranza. Facilmente quel che ci attende spesso lo carichiamo delle nostre paure e delle nostre preoccupazioni.

 

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Corresponsabili all’interno della Chiesa

· Una sete

Ottobre è il mese dedicato alle MISSIONI. Non so se tutti ne conoscono il significato, forse la si ritiene un’iniziativa tra le tante altre che la Chiesa propone. Eppure, io sono convito che ciò che riguarda questo mese è la cosa più importante della nostra fede: in noi c’è una sete che non è mai soddisfatta, non parlo tanto di quella materiale, quella ad esempio che costatiamo durante le calde estati. La sete è soprattutto quella del cuore, quella che ci inaridisce la vita.

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Un cristianesimo senza Gesù!

Nel silenzio e nella pace che offre Lourdes, dove mi trovo con i pellegrini della COPS, ripenso e rileggo queste ultime settimane molto intense da tutti i punti di vista, anche quello pastorale. Rivedo in particolare i bambini della prima comunione con le loro famiglie, le coppie che hanno celebrato il loro anniversario di matrimonio, la comunità di Premezzo che ha appena vissuta la propria festa patronale …

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il GESTO MINIMO e… QUELLO MASSIMO

Se c’è un ritornello che caratterizza i discorsi del nuovo arcivescovo di Milano, Mons. Mario Delpini, nei suoi primi mesi dal suo ingresso in Diocesi, direi che esso si riassume in due parole, anzi in un gesto, il gesto minimo! Per Mons. Mario si tratta di una logica, uno stile, una possibilità, un’arte. Nella Veglia Missionaria Diocesana così diceva: “La pratica del gesto minimo si riassume in una parola: “eccomi”.

 

Lo ha ricordato ai medici del CUAMM dicendo che: “la logica del bene è nel gesto minimo che tiene in piedi la storia, non nelle grandi proclamazioni”.

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La Prima Comunione … … e la fragilità delle nostre famiglie.

Ogni anno l’avvicinarsi della prima comunione dei nostri ragazzi accende nell’animo dei propri genitori il desiderio di poter fare anche loro la Comunione. Cosa c’è di più bello?

 

Ma la difficoltà nasce per quelle famiglie con situazioni matrimoniali segnate da rotture e fragilità. Cosa si deve fare?

 

Penso che il primo passo da compiere, tutti e non solo chi si trova in situazioni difficili, sia quello di chiedersi: “Perché voglio ricevere la Comunione?”, “Quali sono le motivazioni che mi portano a voler ricevere l’Eucarestia?”. Chi dice “per far contento il proprio figlio!!!”, oppure “per sentirmi come gli altri” … e altre risposte del genere: sembrano motivazioni molto povere e prive di senso, espressione di un cammino di fede fragile, bloccato alle apparenze esteriori e niente altro.

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Veglia pasquale 2018 - Omelia

La corale e tutti noi abbiamo cantato l’Alleluia pasquale. Per tutta la Quaresima non si è cantato. Lo abbiamo cantato con gioia perché il nostro Signore è vivo, è veramente risorto! In tutte le comunità cristiane risuona questo annuncio di vita.

 

Alleluia vuol direLodate il Signore” e noi lodiamo il Signore perché non è rimasto incatenato dalla morte, ha vinto la morte, è vivo per sempre ed è presente in mezzo a noi.

Qui sta il cuore della nostra fede.

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La qualità della gioia!

C’è una parola che ci attira continuamente, ci affascina: felicità. Forse è attorno a questa parola che si possono spiegare tutte le complesse realtà della vita e della storia. Si vive per essere felici e quando non lo si è si avverte come una sensazione di fallimento. Ogni agire dell’uomo è fatto in funzione di questo. Persino il male che facciamo, a ben pensare, non è altro che una ricerca di gioia (fatta naturalmente in modo sbagliato). Siccome siamo fatti per questo, noi siamo insaziabili, vogliamo sempre più, sempre meglio. Non è sufficiente essere felici per qualche momento, vogliamo esserlo sempre! Spesso ci accorgiamo quanto sono inconsistenti le nostre gioie; mi viene in mente la parabola del figliol prodigo (Lc 15); un figlio che non era contento della sua casa, voleva una gioia che non provava presso suo padre che lo amava, voleva avventure, voleva novità, "partì allora per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto".

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VIVIAMO BENE LA SETTIMANA SANTA

La Settimana con Gesù è un appuntamento prezioso per tutta la nostra comunità per vari motivi. Si tratta anzitutto di un tempo spirituale che dà il ritmo alla giornata che inizia "nel nome del Signore" e per questo siamo invitati a vincere ogni pigrizia e ogni indugio. Ancora: questa settimana ci aiuta a mettere l'accento sull'urgenza della nostra conversione partendo dal primato della Parola di Dio: l’unica Parola che salva.

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Prima di tutto serve il cuore!

La giornata della famiglia che abbiamo vissuto domenica 28 gennaio, ci ha fatto ripensare a quella formata da Gesù, Giuseppe e Maria. Una famiglia certamente in cui viveva l’amore reciproco tra i suoi membri, ma sicuramente non privilegiata dal punto di vista materiale. Oggi l’Istat l’avrebbe inclusa tra le famiglie che sono sotto la soglia della povertà o l’avrebbe definita “precaria” o migrante. Certo le esigenze di quei tempi non erano le nostre. E poi, avere come figlio Gesù, il Figlio del “Grande capo” … cosa pensate? Che alluda a favoritismi? No, certamente.

 

Durante la celebrazione in tensostruttura sedici coppie della nostra comunità pastorale, che hanno frequentato il corso in preparazione al matrimonio cristiano, hanno comunicato la loro decisione di unirsi nel Signore e, con la Grazia di Dio, formare una nuova famiglia cristiana con il sacramento del matrimonio. Pensando a loro e alle altre future famiglie che tardano a costituirsi perché non ci sono le condizioni per realizzarle, mi domando: è solo un precariato economico e sociale oggi o esiste anche un precariato affettivo, che influisce sul prendere decisioni importanti e definitive per la propria vita?

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Sono uno sventurato!!! Rm 7,24

Da pochi giorni sono terminate le festività natalizie, quante belle parole si sono dette (di pace, di serenità, di amore ecc.) ma mentre le udivo, mi chiedevo: “Non è che il Natale sta diventando una parentesi surreale di una vita che ha ben altri registri come ad esempio quelli della crisi, della disoccupazione, della violenza, delle guerre, del terrorismo… ecc.?”. A conferma di questo, una mattina la mia radiosveglia, alle 5.58 precise, mi sveglia con questo messaggio pubblicitario che diceva più o meno così: “È Natale: dimentichiamo per un giorno tutte le sofferenze e i problemi!”. Son ben cosciente che questo fa parte di un parlare comune, in certe occasioni, ma io ho avuto un moto di stizza. “No! – mi son detto – questa festa che stiamo celebrando non è la parentesi della vita, non è un giorno per dimenticare, ma per interpretare la vita!”. Gesù si è fatto uomo non per far dimenticare i problemi, ma per spiegare la vita e darle senso. È questo il contenuto della fede: capire la vita così com’è e non come promessa illusoria di quello che non c’è e che noi invece desideriamo. Credere in Gesù Cristo è la via per poter giungere in modo definitivo alla salvezza. Il senso del Natale non è quello di dimenticare i problemi, come se quasi sparissero per un giorno, ma affrontarli convinti che ne siamo capaci.

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Messa nella notte di Natale 2017

Così ci ha fatto leggere il prologo del Vangelo di Giovanni: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo», cioè nella storia degli uomini è entrata la luce vera che illumina ogni uomo. Anche la prima orazione di questa S. Messa ci ha fatto pregare con questa parole: «O Dio hai illuminato questa santissima notte con lo splendore di Cristo, vera luce del mondo». Dunque la luce che è entrata nel mondo per illuminarci non è una semplice idea, un qualcosa di leggendario che emoziona il nostro cuore; è una persona, è un bambino, questo bambino è Gesù, «nato da donna, nato sotto la Legge» ci ha detto la lettura, cioè un uomo a tutti gli effetti.

 

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Un Natale che rivela il coraggio di Dio

Che bello entrare nelle case e trovare i bambini che ti portano subito a vedere il loro presepe. Il bello di un presepe è che puoi vederci di tutto.
Mentre vado a far visita alle famiglie, di casa in casa, a me capita di guardare il presepe dall’alto, da “fuori”. Sì, da “fuori”, perché chi lo fa con le sue mani ci vede molto di più perché lo guarda con la passione di chi ci ha messo del “suo” per costruirlo e realizzarlo (a volte anche nei minimi particolari).
Mi sono chiesto: “Ma in questo presepe, cosa vede Gesù Bambino dalla culla?
Che bello imparare in questo prossimo Natale a guardare il mondo “dal basso”, dalla mangiatoia, con gli occhi del Dio Bambino.

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Appassionarsi alla vocazione di essere pietre vive

Varese 14 ototbre 2017

 

La nostra liturgia ambrosiana in questa vigilia della celebrazione della dedicazione del Duomo che vivremo domani in tutta la diocesi, ci fa riflettere sul significato del tempio. Gesù stesso si presenta ai farisei come il vero tempio che sarà distrutto, ma dopo tre giorni verrà ricostruito, confondendo i suoi interlocutori.

 

La Chiesa, per noi, non è primariamente l'edificio di pietra nel quale ci riuniamo per le nostre assemblee liturgiche, è innanzitutto il Corpo di Cristo di cui noi siamo le membra, le pietre viventi. Il nostro arcivescovo Mario, nella sua prima lettera ci invita ad “appassionarsi alla vocazione di essere pietre vive di una Chiesa che sia un segno della Gerusalemme nuova.”

 

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Se non siamo MISSIONARI non crediamo!

È iniziato il mese di ottobre legato al tema missionario, vogliamo viverlo leggendo insieme il Messaggio che Papa Francesco ha scritto per la giornata missionaria mondiale tenendo vicino l’Esortazione “Evangelii Gaudium”.

 

 

 

Il dinamismo dell'uscita

            Il Papa sottolinea che la “Chiesa è missionaria per natura; se non lo fosse, non sarebbe più la Chiesa di Cristo, ma un’associazione tra molte altre, che ben presto finirebbe con l’esaurire il proprio scopo e scomparire”.  È un concetto questo che emerge chiaramente dal Concilio Vaticano II poi ribadito dai papi postconciliari. I cristiani non credono solo per sé stessi: «Ho fede, quindi sono salvato cioè sono nel giusto, sono bravo, sono contento, sono aiutato da Dio…», ma perché amano gli altri, tutti però, nessuno escluso. Il discepolo è colui che conosce il Vangelo, lo fa suo, gli entra dentro, in profondità, si lascia cambiare la vita e trova nel Cristo una fonte meravigliosa di gioia che è più grande delle sofferenze quotidiane (che pur ci sono e, alle volte, con abbondanza), per lui la parola di Dio è fonte di gioia. Ma il discepolo è colui che sa amare e quindi ha voglia di donare agli altri la gioia che lui stesso ha conosciuto. Se non comunichiamo il Vangelo, i casi sono due: o non crediamo che questo sia bello e fondamentale per la riuscita della persona, o non amiamo. In altre parole, noi viviamo per gli altri, ascoltiamo il papa: “La missione della Chiesa è animata da una spiritualità di continuo esodo. Si tratta di «uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 20).

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Un anno nuovo, tra scadenze e speranze

In questi primi giorni di settembre è facile incontrare persone e raccontarci cosa abbiamo fatto durante l’estate. Mi piace ascoltare gli esperti di montagna, quando raccontano quello che hanno potuto vedere: straordinari spettacoli di rocce, di ghiacci e di cielo. “Poi arriva settembre – qualcuno mi dice – riprendo a lavorare e l’unica montagna che ho davanti è il Calvario”. Non ha tutti i torti. Spesso ci troviamo a ricominciare un anno con addosso la nostalgia per le ferie e un po’ di apprensione per quanto ci aspetta. Siamo già oppressi dalle prime scadenze, innervositi dai ritmi di lavoro che non ci lasciano tregua, preoccupati per un calendario che ci toglie il fiato - ai piedi del Calvario, insomma.
Ma deve essere per forza così? Non possiamo provare a cambiare passo, a iniziare con uno stile diverso, con un atteggiamento più fiducioso? Mi viene in mente che prima di arrivare al Calvario gli apostoli hanno scalato tante altre montagne. E vorrei guardare all’inizio di quest’anno pastorale come alla salita gioiosa al Monte delle Beatitudini, nello spettacolo meraviglioso che ci offre la terra di Galilea.
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Mons. Gabriele Caccia saluta tutta la COPS

Per una settimana intera ho avuto la gioia e la fortuna di vivere a fianco di Sua Ecc.za Mons. Gabriele Caccia, Nunzio Apostolico in Libano. Di ritorno trasmetto i suoi saluti più cordiali non solo ai Cavariesi, sua parrocchia di origine, ma a tutta la comunità pastorale. Con i suoi saluti mi piace stendere a caldo e velocemente qualche riflessione che spero nelle prossime settimane di poterle riprenderle e magari condividerle con chi ne fosse interessato.

 

     Andare in Libano è un viaggio "insolito", spesso sottovalutato. Solo sentire il nome di questo paese incute timore e si associa a delle immagini sbagliate legate a guerre e terrorismo. Non c’è guerra, non c’è terrorismo, anzi il Libano era e resta una grande lezione di unità, di riconciliazione e di pace. Sarebbe bello imparare dall'Oriente certi valori da riscoprire in Occidente.

 

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LA CRESIMA: UNA VOCAZIONE

In questo mese di giugno la nostra comunità pastorale accoglierà 76 ragazzi/e che confermeranno il loro battesimo con il sacramento della Cresima. Chiediamo loro di essere responsabili nella vita di fede; sappiamo tutti però che non ne sono ancora capaci. Abbiamo sempre detto che la Cresima è il sacramento della maturità cristiana anche se tutti constatiamo che in realtà non è vero, perché l'esperienza di tanti anni passati dimostra che i ragazzi/e, dopo la Confermazione, spariscono dagli orizzonti della vita cristiana. Allora mi domando perché continuiamo ad amministrare questo sacramento!? O meglio perché lo diamo a questa età e non aspettiamo quando saranno più responsabili!? Mi si risponde che se aspettassimo quando avranno circa vent'anni non la riceverebbe nessuno! Allora diamo loro un sacramento "che non capiscono" prima che lo "rifiutino una volta capito"? Probabilmente - allora - la Cresima non è il sacramento della maturità, ma semplicemente il momento in cui Dio si impegna (lui più che i ragazzi/e) per ricordare a questi giovani che stanno nel Suo cuore, li aspetta e li vuole migliori: essi riceveranno lo Spirito perché crescano più saggi, più buoni, più impegnati, più generosi, in una parola più maturi!

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La parrocchia: famiglia di famiglie

Lettera del parroco ai parrocchiani di Oggiona

 

Questa è l’ottava festa patronale che celebro con voi e che mi ricorda quanto velocemente trascorra il tempo. Otto anni non sono molti, ma possono dire tanto e soprattutto permettono di rileggere un cammino segnato da proposte nuove, non sempre capite e facili da vivere.

 

Se mai qualcuno mi chiedesse (e talvolta qualcuno l’ha fatto e lo fa ancora) se sono contento di essere qui, rispondo senza fatica e non in modo ingenuo, che sono contento d’essere qui. Per questo posso dire che questi anni passati con voi sono stati anni di grazia del Signore. Certe fatiche le prevedevo, altre situazioni no. Ma è impagabile la bellezza del volto delle persone quando sorridono e ti dicono accoglienza e attesa. Tutto questo è davvero una grazia grande.
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La chiesa di San Vittore… riapre dopo i restauri

Dallo scorso mese di ottobre sono iniziati i lavori per restaurare la chiesa di San Vittore. Abbiamo visto all’opera la restauratrice Isabella Pirola sotto la direzione dell’Architetto Matteo Scaltritti. L’intervento è stato diviso in tre lotti. In questo mese di maggio vedremo concluso il primo di questi lotti che prevedeva l’intervento sull’abside con la riapertura delle finestrelle (monofore), una indagine stratigrafica per poi intervenire sugli strati più recenti di intonaco con ripuliture e consolidamenti delle superfici.
Prima di iniziare i lavori si sono fatte delle indagini stratigrafiche che hanno evidenziato diversi livelli di finiture sovrapposte nel corso del tempo: addirittura cinque. Si è così potuto documentare una sequenza di finiture sotto lo strato di pittura rossa applicata negli anni ‘70. Sul primo, dopo la rimozione del più recente, si è trovato uno strato di pittura blu con tracce di colore interpretabile come un cielo stellato. Il terzo è uno strato di intonaco di granulometria piuttosto regolare probabilmente ottocentesco. Il quarto è un intonaco molto antico a stretto contatto della struttura muraria in pietre.
Durante le prime fasi del restauro dell'abside sono state scoperte alcune piccolissime tracce di colore sul quarto strato, quello più antico, che dimostrano che, in origine, era decorato. La Direzione Lavori, d'accordo con il parroco, ha quindi proposto alla Soprintendenza di rimuovere tutti gli strati più moderni per poter riportare in vista questa finitura più antica, anche se ormai completamente priva di colore.
Dopo un sopralluogo del funzionario della Soprintendenza, che ha preso visione della situazione, è stata presentata formale domanda ai primi di dicembre 2016. La Soprintendenza, però, dopo aver ascoltato la relazione riguardante gli esiti delle indagini analitiche sulle malte e sulle pellicole pittoriche, ha ritenuto opportuno mantenere il carattere conservativo del progetto originario, motivando la decisione principalmente per la mancanza di evidenti ed apprezzabili elementi di valore sullo strato più antico di intonaco.
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FACCIAMO FESTA…

Lettera del parroco ai parrocchiani di Premezzo
Questa è l’ottava festa patronale che celebro con voi e che mi ricorda quanto velocemente trascorra il tempo. Otto anni non sono molti, ma possono dire tanto e soprattutto permettono di rileggere un cammino segnato da proposte nuove, non sempre capite e facili da vivere, quali anche la comunità pastorale. La festa della parrocchia non risolve d’incanto i problemi che ci assillano, ma ci offre uno spazio per sostare, riunirci insieme e guardare in alto, in modo da persuaderci che non siamo soli, che c’è speranza in un futuro migliore il cui avvento dipende anche dal nostro impegno, dalla nostra inventività, allontanando la buia rassegnazione.
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il RITO è … anche emozione!

Ogni anno celebrando la prima comunione la comunità vive un momento di festa, sia per i bambini che fanno un'esperienza unica nella loro vita, sia per i loro genitori che si sentono coinvolti dalla gioia dei figli. Quando si riceve il battesimo, che tra i sacramenti ha una valenza forte per la vita di fede, non si è coscienti; quando arriva il momento della cresima non si è più bambini e si rischia di viverla come fine di un percorso: invece di dare entusiasmo per il futuro, lo spegne come se la vita cristiana sia arrivata al suo apice. La comunione invece conserva quell'alone di mistero che sa ancora infondere gioia.

Rattrista però il pensiero della continuità; mi domando infatti quanti di questi bambini che oggi riceveranno per la prima volta Gesù nell'Eucaristia continueranno a farlo nella loro vita. Non può certamente consolarci il pensiero che è così dappertutto, anzi questo aggiunge piuttosto motivo di tristezza perché ci obbliga ad interrogarci sulla forza della nostra fede che non sa radicarsi nel cuore dei giovani. D'altra parte è abbastanza normale sentire gli adulti dire: «l'importante non è andare a Messa, ma fare del bene!». Sarebbe interessante verificare quanto bene fanno quelli che dicono così! In verità facciamo fatica a capire il valore dei riti.

 

 

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VIVIAMO IL PRESENTE CON SPERANZA - Pasqua 2017

Ogni epoca porta con sé il suo dolore, ogni cuore ha i suoi momenti per sanguinare, anche ai nostri tempi non mancano prove, sofferenze e persecuzioni. Ma noi non siamo fatti per la sofferenza. Nessuno di noi esiste per piangere, per soffrire. Quando siamo tristi ci sembra che la vita sia solo fatica, quando siamo contenti ci sembra al contrario che sia solo affascinante. Dobbiamo saper guardare oltre i nostri sentimenti e non fermarci soltanto alle sensazioni del momento. La vita non è una somma di “partico-lari”, ma è un “quadro d’insieme” che dà senso ad ogni parte. Lo sguardo ristretto è la causa della sfiducia. La verità sembra essere quella che proviamo in quel determinato istante, ma la sua conoscenza ha bisogno di sguardi “larghi”. Se io vivessi sempre e solo all’ombra del mio campanile e non vedessi nessuna foto o filmato, avrei l’impressione che tutto sia come le quattro strade del mio paese. Ma c’è un mondo ben più vasto che io non conosco e che devo vedere per poter capire la ricchezza che esiste e che è più grande dei miei occhi.

 

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GLI ONNIPOTENTI CON LA CENERE

Con il 5 marzo inizia il tempo liturgico della Quaresima e si aprirà con il Rito delle ceneri. È un gesto talmente abituale che rischia di perdere il suo valore di segno eppure è qualcosa di sconcertante: ci viene detto che noi siamo polvere! Ma come è possibile… noi… oggi… noi gli “onnipotenti”! Ancora oggi, nel terzo millennio, parlare di “cenere”?! Eppure anche in questa nuova epoca delle meraviglie (!?) siamo fragili: stiamo ancora parlando di guerre: Siria, Palestina ... il terrorismo e la malvagità del fondamentalismo, quando non si uccide, si imbroglia … “gli onnipotenti”! Forse siamo troppo sicuri della nostra civiltà o pensiamo che il male sia solo nella stupidità di qualcuno, quello che siamo o quello che abbiamo ci fa sentire un po’ onnipotenti e protetti: forse è per questo che abbiamo paura dell’Isis perché ci fa intuire che le nostre sicurezze vacillano.
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Abbiamo un forte bisogno di speranza

Nonostante quello che è capitato a Berlino, noi tutti abbiamo trascorso i giorni di Natale come sempre… ed è giusto così: siamo andati Messa, ci siamo ritrovati nelle case, abbiamo fatto festa attorno ad una tavola imbandita, abbiamo aperto i regali. Il Natale ci ha fatto sentire e crescere nel cuore una voglia nuova di sentimenti belli, puri, autentici che in qualche modo sono in antitesi con la rabbia che ci viene spontanea dopo quei fatti di odio.

 

Tutti i riti che hanno accompagnato il Natale sono stati segni importanti che ci ricordano le radici della nostra convivenza fatta di quotidianità, di lavoro e di svago, di semplicità nello stare insieme e di coesione nei momenti difficili. È giusto continuare a farlo perché dobbiamo essere più coraggiosi della morte che tende a chiuderci e a farci paura. La vita deve scorrere nella sua normalità e nulla può fermare i valori che danno senso alla nostra esistenza: libertà, fraternità, amicizia, gioia, pace… non fuga, isolamento, vendetta, guerra...

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